Il processo di revisione europeo dei prodotti fitosanitari utilizzabili in campo (si pensi ad esempio al problema dei neonicotinoidi) ha precise valenze ecologiche e di tutela degli impollinatori, ma ha anche ridotto il numero di principi attivi ammessi e portato di attualità il tema delle resistenze agli agrofarmaci.
Con il termine resistenza si intende una riduzione della sensibilità di un organismo (patogeno o fitofago) nei confronti di una determinata sostanza attiva che può venire ereditata dalla progenie. L’impiego ripetuto della stessa sostanza attiva, infatti, esercita una pressione selettiva favorevole nei riguardi degli individui resistenti avvantaggiandoli rispetto a quelli sensibili. In particolare, se vengono impiegate sostanze attive con un medesimo meccanismo d’azione specifico, si facilita l’instaurarsi di questi fenomeni che, dal punto di vista pratico, si manifestano con la totale o parziale mancanza di attività del formulato applicato.
Per orientarsi si può consultare la banca dati dell’IRAC che raggruppa le sostanze attive ad azione insetticida sulla base del sito di azione (target) ovvero del tipo di organo o del processo su cui agiscono i prodotti. L’elenco completo delle sostanze attive e la classificazione sulla base della loro modalità di azione (MoA) è consultabile sul sito di IRAC (www.irac-online.org).
Emanuele Mazzoni, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, ha fatto il punto sulla resistenza agli insetticidi e acaricidi in Italia e quali sono le strategie da adottare per limitare il fenomeno durante le recenti Giornate fitopatologiche.
Come ben illustrato da Mazzoni, le popolazioni resistenti di insetti dannosi in agricoltura spesso hanno resistenze multiple basate su molteplici vie molecolari, per cui anche la rotazione dei principi attivi potrebbe non essere sufficiente. Vi sono inoltre popolazioni resistenti diffuse in nuove aree e su nuovi ospiti.
Le informazioni sono inoltre spesso frammentarie e non sempre i trattamenti sono effettuati in modo adeguato, però le ricorrenti “crisi” date da popolazioni resistenti suggeriscono che è necessario dotarsi di nuovi strumenti diagnostici. Andrebbero inoltre rivalutati e migliorati i metodi di lotta integrata, che utilizzano insieme i vantaggi offerti dalla lotta biologica e dalla lotta chimica tradizionale.
Servirebbe infine sviluppare nuovi modelli che tengano conto di aspetti spesso trascurati (come ad esempio gli eterozigoti e la loro diffusione) e la resistenza comportamentale (l’insetto percepisce il principio attivo in campo ed evita le aree trattate, qui una recente review) per cercare di prevede quali aree e zone potrebbero essere monitorate con particolare attenzione. In questo manca ad oggi il ricorso a strumenti informatici previsionali già applicati in altri ambiti (quale quello oncologico, qui un esempio) come il deep learning. Un ottimo esempio della potenzialità di questo approccio è dato dalla recente pubblicazione di Matthew H. Meisner, Jay A. Rosenheim e Ilias Tagkopoulos dal titolo “A data‐driven, machine learning framework for optimal pest management in cotton” pubblicato nella rivista scientifica Ecosphere (articolo disponibile in modalità open access).
Servirà quindi integrare nuovi strumenti (sia genetici che informatici) con vecchi alleati (predatori utili per la lotta biologica) perché è indubbiamente più facile prevenire la comparsa/diffusione di fenomeni di resistenza che recuperare la suscettibilità alle sostanze attive.