Una delle tematiche oggi più ricorrenti (complice anche il caldo estivo) è relativa alla disponibilità di acqua “dolce”. I cambiamenti climatici infatti rendono alcune aree del pianeta decisamente aride per la riduzione delle piogge e pongono il problema di come recuperare l’acqua in situazioni in cui le piogge sono sempre più frequentemente di fortissima intensità. Come scrive nel suo editoriale per l’Internazionale il giornalista Gwynne Dyer: la terra rischia seriamente di rimanere a secco!
Nell’emisfero nord è un’estate apocalittica: incendi fuori controllo in tutto il circolo polare artico (per non parlare di California e Grecia), ondate di calore di varie settimane con temperature record, acquazzoni torrenziali e inondazioni bibliche. Eh già, si tratta di proprio di cambiamenti climatici. Non è assurdo essere spaventati, poiché le estati saranno sempre peggiori nei prossimi dieci anni, e molto peggiori nei dieci anni successivi. Dei tagli drastici e immediati alle emissioni di gas serra oggi potrebbero evitare che le estati degli anni quaranta del duemila siano anche peggiori, ma non potrebbero comunque fare molto per alleviare la crescente sofferenza dei prossimi vent’anni. Buona parte di queste emissioni si trova già nell’atmosfera. E la verità è che non assisteremo ad alcun “taglio drastico e immediato delle emissioni di gas serra” nel prossimo futuro. Le cose peggioreranno, e di molto, prima di migliorare, se mai miglioreranno. Ed è quindi probabilmente venuto il momento di porsi l’ovvia domanda: come andranno a finire le cose?
La risposta non è semplice, ma senza interventi adeguati l’unica via possibile è quella suggerita da Scientific American: “Prepare for Water Day Zero!”
Ai cambiamenti climatici si deve poi aggiungere che, secondo i dati di Utilitalia (associazione delle imprese idriche, energetiche e ambientali), il 60% della rete idrica italiana è stato realizzato oltre 30 anni fa e il 25% di queste opere supera i 50 ani di età con acquedotti che perdono il 26% dell’acqua al nord, il 46% al centro e il 45% al Sud.
In questo quadro decisamente negativo, emergono però anche interessanti progetti che mostrano come in molti casi (ad oggi purtroppo isolati) si stia concretamente cercando di far fronte a questo problema. Come riportato da Valerio Gualerzi nell’articolo intitolato “Dopo la siccità del 2017, cosa fa l’Italia per non rimanere a secco?” pubblicato sul numero di luglio 2018 di National Geographic Italia:
“L’Emilia Romagna è uno dei poli più grandi in Europa per la coltivazione di frutta e verdura (…). E’ in questa regione, cuore agricolo del Paese e della cosiddetta Food Valley, che sono in corso alcune delle sperimentazioni più interessanti. A Pomposa, in provincia di Ferrara, nel più grande stabilimento europeo per la lavorazione di frutta e ortaggi, il colosso dell’industria della trasformazione alimentare Conserve Italia è riuscito a fare in modo di prelevare meno del 10 per cento dell’acqua di cui ha bisogno, mentre il rimanente 90% resta all’interno di un sistema di riciclo. (…) Modelli incoraggianti, ma per vincere la sfida la battaglia decisiva sarà però combattuta in agricoltura, responsabile di circa il 60% dei consumi idrici. (…) Ciò che ha permesso al Canale Emiliano Romagnolo di uscire senza eccessivi danni dalla grande siccità del 2017 è un mix di lungimiranza, gestione accorta e innovazione tecnologica. Il suo fiore all’occhiello si chiama Irriframe, una piattaforma informatica che fornisce in tempo reale ai coltivatori tutte le informazioni per un uso efficiente dell’acqua. <Abbiamo circa 14 mila coltivatori che la consultano per stabilire come, quando e che cosa irrigare> spiega Paolo Mannini, direttore del Canale Emiliano Romagnolo. Un servizio che l’estate scorsa ha permesso risparmi del 25-30 per cento nei campi di kiwi, mele, patate e pomodori, tutte colture molto esigenti. Collegandosi al portale, gli agricoltori possono descrivere il loro campo nei minimi dettagli: qualità e tempo della semina, tipo di portainnesto della pianta, caratteristiche dell’interfilare e aspettative di guadagno. In base al rilevamento dei dati meteorologici, al calcolo del bilancio idrico suolo/pianta/atmosfera e alla conseguente convenienza economica dell’intervento irriguo, Irriframe invia un avviso sul cellulare, anche sotto forma di messaggio vocale, indicando che cosa, quando e quanto irrigare. Gli impianti a goccia hanno introdotto sicuramente vantaggi in termini di efficienza, ma più che il tipo di irrigazione, l’importante è come la si fa, tarando la quantità di acqua alla reali necessità di quel determinato momento. Per questo anziché supporre di cosa abbia bisogno dall’ambiente che la circonda, il prossimo vero passo in avanti sarà interrogare direttamente la pianta attraverso la fotografia satellitare a infrarossi, capace di dare una rappresentazione cromatica del suo grado di stress idrico”.
L’agricoltura 4.0 può però dare un ulteriore contributo legato allo sviluppo di nuovi sensori. Un esempio è dato dal gruppo di ricerca dell’IMEM.CNR guidato da Andrea Zappettini e Michela Janni che ha sviluppato uno speciale filamento di cotone in grado di valutare il grado di disidratazione di una pianta. Questo sensore infatti viene inserito nel fusto ed è in grado di monitorare la composizione e il cambiamento della linfa. Questo transistor elettrochimico organico, ribattezzato bioristor, dirà quindi agli agricoltori quando una pianta necessita acqua.
“Finché una pianta di pomodoro la osserviamo dall’esterno, quando cogliamo un sintomo di stress ormai è quasi sempre troppo tardi per rimediare. Se il bioristor confermerà i risultati ottenuti in laboratorio, potrebbe essere sufficiente un pomodoro dotato di transistor per ogni ettaro di campo per darci il quadro esatto della situazione”. (Ugo Peruch, Direttore agricolo di Mutti)
L’agricoltura 4.0 permette quindi di migliorare il modo in cui l’acqua è usata in agricoltura lavorando simultaneamente sia sul modo in cui le piante sono irrigate, che pianificando le irrigazioni ricorrendo ai dati meteo e allo stato di stress idrico delle piante in campo.
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