Nei mesi scorsi ho letto con grandissimo piacere “A cena con Darwin” (su Pikaia ne ho scritto qui) e ho scoperto con grande piacere un autore di cui non avevo mai letto nulla prima: Jonathan Silvertown. Professore di Ecologia evoluzionistica presso l’Institute of Evolutionary Biology dell’Università di Edimburgo, Silvertown è autore di numerosissimi articoli scientifici dedicati all’evoluzione delle piante, oltre che di numerosi libri tra cui “La vita segreta dei semi” (pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri nel 2010 e ristampato nel 2014).
“La vita segreta dei semi” è un libro molto interessante perché da un lato guida il lettore alla scoperta della biologia delle piante e dall’altro permette al lettore di avvicinarsi a “oggetti” sempre presenti nelle nostre cucine per farne non più degli ingredienti, ma delle forme di vita con una splendida storia evolutiva alle spalle.
Come ben scrive Silvertown “I semi hanno due vite: quella vera, in natura, e quella riflessa nello specchio della letteratura e dell’immaginario” e l’autore ci guida in modo leggero (ma scientificamente impeccabile) nel capire perché il proverbio gallese che recita “un seme nascosto nel cuore di una mela è un frutteto invisibile” colga al tempo stesso il potenziale biologico dei semi e il loro potere metaforico.
Il libro di Jonathan Silvertown è in tutto è per tutto una metafora perfetta del seme in natura non solo perché nato dal seme di una idea, ma perché scritto “su carta ricavata da foreste di conifera del Nord, cresciute e ripiantate dal seme” e scritto con un inchiostro che contiene “oli ricavati da semi”… e se come me avete spesso posto poca attenzione alle piante e ai loro semi, questo è il libro per rimediare. Silvertown infatti vi guiderà alla scoperta delle tante differenti soluzioni che le piante hanno adottato nel corso dell’evoluzione per rispondere ai diversi problemi quotidiani che si trovavano ad affrontare e alla fine della lettura non potrete che concordare con l’antico filosofo cinese Lao-tzu che scrisse “saper vedere le cose racchiuse nel seme, ecco dove sta il genio”.
In realtà essendo io un genetista, ogni tanto ai semi ho dovuto prestare attenzione. Ad un seme era dedicato il celeberrimo “Verhandlungen des naturforschenden Vereins Brunn” (tradotto in inglese come “Experiments in plant hybridization” e recentemente tradotto in italiano in un volume curato da Alessandro Minelli), testo scientifico scritto nel 1866 dall’abate Gregor Mendel, che grazie ai semi di pisello identificò le leggi che regolano il modo in cui i geni vengono ereditati.
Più di un secolo dopo fu un altro seme, quello del granturco, a far vincere il Nobel alla genetista Barbara McClintock per la scoperta degli elementi genetici mobili. In realtà la “storia” della McClintock meriterebbe molto spazio, perché la sua scoperta venne in realtà premiata a 35 anni di distanza e gli straordinari risultati ottenuti (pubblicati su diverse riviste nel 1951) vennero accolti con enorme ostilità perché pubblicati in un momento in cui si era fermamente convinti della fissità del genoma e del fatto che i geni fossero entità fisse sui cromosomi. Se ben ci pensate questa scoperta venne pubblicata due anni prima del lavoro di Watson e Crick dedicato alla struttura a doppia elica del DNA.
Grazie ai semi, indagherete il perché esista il sesso (a prima vista potrebbe non essere la via più semplice e facile per riprodursi) e scoprirete le mie soluzioni adottate dalle piante per favorire la dispersione della prole rispetto ai genitori. “A prima vista ci sarebbero almeno due buoni motivi per non disperdere la propria progenie. Primo, il tuo successo riproduttivo come genitore dimostra che quello in cui ti sei stabilito è un posto che va bene per te e i tuoi simili. Secondo, la dispersione è di per sé pericolosa tanto che la maggior parte dei essi perisce nell’impresa. (…) Ma allora il suo vantaggio dove sta?” Silvertwon per dare una risposta illustra il lavoro di William Donald (Bill) Hamilton che nel 1977 suggerì che la dispersione fosse la strategia essenziale per conquistare nuovi “territori” garantendo alla specie maggior chances di sopravvivere a variazioni climatiche e l’idea proposta da Herman Joseph Muller nel 1964, secondo cui nelle popolazioni che si riproducono senza sesso il carico di mutazioni può proseguire in una sola direzione ovvero aumentare arrecando loro gravi danni (questo meccanismo venne definito Muller’s ratchet).
Uno dei miei capitoli preferiti è poi dedicato alle strategie adottate dalle piante per proteggere i propri semi. Silvertown mostra molto bene come naturale e sicuro per la nostra alimentazione non siano necessariamente sinonimi. Pensate ad esempio alla ricina, sostanza estratta dai semi di ricino, che è una potentissima citotossina in grado di bloccare la sintesi proteica negli eucarioti. La ricina è una tossina più letale del veleno del cobra e verso cui ad oggi non esiste antidoto e che proprio per questa sua tossicità era una protagonista molto comune nei romanzi di spionaggio di metà anni ’80 del secolo scorso.
“Anche il cianuro <scrive Silvertwon> è una sostanza velenosa presente in numerose piante: lo si trova nei noccioli di frutti quali mele, ciliegie e mandorle (…). Perfino la famigerata stricnina si estrae da semi racchiusi in frutti altrimenti innocui”.
Tra le molecole di difesa prodotte dalle piante (fortunatamente per noi moderatamente pericolose) troviamo poi.. forse per molti a sopresa, la caffeina che è in grado di arrecare danni al DNA andando ad interferire con la sua replicazione. “La storia naturale del seme di caffè e quella della bevanda che se ne ricava sono indissolubilmente legate da una minuscola molecola che la pianta utilizza al solo scopo di difendersi, ma che negli esseri umani ha suscitato un desiderio incontenibile. (…) Quelli del caffè sono i semi più costosi del mondo: hanno un valore commerciale superiore a quello di frumento, granoturco, riso e soia. (…) La caffeina è velenosa per gli insetti, contrasta la proliferazione di batteri e funghi, uccide lumache e chiocciole e riesce persino ad inibire la crescita di altre piante (…) Quando il seme germina una parte della caffeina contenuta nel virgulto filtra tra le radici nel terreno dove può garantire un effetto di protezione da eventuali agenti patogeni e interferire con lo sviluppo di piante rivali. La crescita delle prime, tenere foglie è cruciale per la futura sopravvivenza della pianta. Queste foglioline sono ultra-protette dalla caffeina, presente nel loro succo in una concentrazione dieci volte superiore a quella presente in una tazzina di caffè espresso. Forse Starbucks dovrebbe iniziare a servire germogli di caffè. Anche le foglie mature contengono caffeina, ma concentrata solo intorno al bordo, la parte che probabilmente gli insetti addenteranno per prima”. Il caffè è parte della storia dell’uomo da almeno duemila anni (in Etiopia) per poi diffondersi celermente in Europa nel XVII secolo divenendo simultaneamente la bevanda più amata ed odiata. Tra richieste di messa al bando e bevanda per ispirare artisti, scienziati (un matematico è una macchina che converte caffè in teoremi!) e politici, il caffè è oggi oggetto di un fiorentissimo mercato, sebbene le variazioni climatiche potrebbero ridimensionarne la produzione nel prossimo futuro.
Non dimentichiamoci poi la nicotina (di cui però Silvertown non parla) che prende il nome dalla pianta del tabacco Nicotiana tabacum, che a sua volta deve il suo nome a Jean Nicot, che spedì semi di tabacco dal Portogallo a Parigi nel 1550 e ne promosse l’uso medico. Tra le tante proprietà anche la nicotina interferisce con la replicazione del DNA per cui abbiate cura del vostro DNA la prossima volta che farete una pausa con caffè e sigaretta.
Negli ultimi anni si è parlato in modo sempre più ricorrente del fatto che l’agricoltura moderna è fatta anche di narrazioni, del fatto che oggi incontra l’interesse dei consumatori il fatto di saper trasformare in racconti, libri e fotografie ciò che era scritto nelle ricette delle nonne. Se vi piacciono i semi, grazie al libro di Silvertwon, potrete gustarveli ancora di più dedicando un pensiero all’affascinante viaggio evolutivo che li ha condotti fino al vostro piatto.