Nel corso delle ultime settimane sono stati pubblicati diversi articoli che partono dagli stessi quesiti: dove sono prodotte molte delle risorse alimentari consumate in Europa sia per l’alimentazione umana che per quella animale?
Una prima risposta è stata pubblicata dai ricercatori Sven Beckert, docente di storia a Harvard, e Mindi Schneider, docente di agraria e studi ambientali alla Erasmus University di Rotterdam, sul supplemento domenicale del Sole 24 Ore di domenica 12 agosto 2018. Nel loro articolo, intitolato “L’Europa, un orticello globale” i due ricercatori scrivono:
“Talvolta è il quotidiano a riservarci le maggiori sorprese. Un europeo medio si alza dal letto (le cui lenzuola sono di cotone) per fare una rapida doccia (…) lavandosi con una saponetta (a base di olio di palma) per poi bere una bevanda (a base di the o caffè) e fare colazione con un pasto a base di cereali (zuccherati) o probabilmente carne (a base di soia) e un sandwich a base di formaggio prima di dirigersi al lavoro su un veicolo motore (il cui combustibile è petrolio raffinato). Ciò che definisce un giorno qualsiasi nella vita di milioni di Europei (un giorno come tanti, quelli che avete vissuto per anni senza rifletterci sopra) ha in effetti un che di miracoloso. Dopo tutto, quasi niente di ciò che ha reso piacevole la vostra giornata è originale del continente europeo. Il cotone quasi certamente proveniva da una piantagione cinese, l’olio di palma dalla Malesia. Vi sono alte probabilità che il caffè fosse stato coltivato in Kenya, il the in India, lo zucchero a Cuba e la soia in Brasile, mentre il petrolio potrebbe essere stato estratto dalle sabbie dell’Arabia saudita.
Per quasi tutti noi, queste cose rientrano nella routine quotidiana: ci sostengono, rendendoci la vota confortevole (…). La maggior parte degli europei vive in aree dove non si percepiscono le conseguenze dei consumi. La dirigenza dell’unione Europea ha cominciato a preoccuparsi di questo stato di cose e due documenti recentemente pubblicati da Bruxelles (uno studio di fattibilità su eventuali azioni contro la deforestazione globale e un altro sull’impatto ambientale dell’uso dell’olio di palma) sostengono che il consumo di risorse in Europa è all’origine di danni ambientali a livello globale. (…) Un buon punto di partenza sarebbe quello di rivedere più visibili le popolazioni residenti in quei luoghi “remoti” da cui si riforniscono i mercati e lo stile di vita europeo. (…) Ascoltando queste voci l’Unione Europea può elaborare una soluzione inclusiva e a lungo termine per i problemi ambientali di carattere globale”.
Questo gap tra produzione e consumi non è presente solamente nei prodotti per l’alimentazione umana, ma caratterizza, con forse maggiore entità, anche la produzione di mangimi tanto che la nostra capacità di produrre proteine vegetali per l’alimentazione animale copre non più del 35% del fabbisogno europeo in parte a causa delle condizioni agroclimatiche (che in Europa che non favoriscono la coltivazione diffusa di colture ricche di proteine come la soia), in parte per la scarsa redditività che tali colture possono avere. I semi di soia, ad esempio, possono entrare nel mercato dell’UE senza tariffe, il che riduce la redditività della produzione locale.
La conseguenza è che l’Europa importa più del 60 % di materie prime vegetali ricche di proteine di cui ha bisogno per equilibrare le razioni alimentari degli animali da allevamento dagli Stati Uniti e dal Sudamerica, con importazioni il cui costo è passato da 9 a 12 miliardi di euro tra il 2008 e il 2015. Per altro, come già sottolineato da tantissimi autori, gran parte della soia e del mais importato è di tipo OGM.
Una interessante analisi di tale situazione è stata condotta da EuropaBio (associazione europea delle bioindustrie) e i risultati sono disponibili nel dossier “The protein gap” (liberamente scaricabile qui) da cui evince chiaramente come l’Europa debba investire da un lato sul miglioramento delle filiere in termini di processi produttivi e dall’altro sul miglioramento genetico al fine di avere varietà più produttive e più resistenti alle condizioni climatiche, alle malattie e agli organismi nocivi. Questi obiettivi, di per sé già complessi da raggiungere, saranno ancora più problematici considerata l’infelice recente decisione della Corte di Giustizia Europea di considerare OGM anche le varietà derivanti da genome editing.
“Banning GM imports means doing away with our capability of producing food”,
(Vytenis Andriukaitis, Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare)
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