Nei giorni scorsi ho seguito, sulla piattaforma per la formazione a distanza EduOpen, il corso intitolato “Edible insects: the more you know, the better they taste“, le cui lezioni sono tenute da Paul Vantomme, coordinatore e portavoce del Progetto Edible Insects della FAO. Le lezioni (in inglese, ma chiarissime per cui non spaventatevi!) raccontano la storia e il futuro dell’entomofagia e degli insetti come fonte di cibo per l’uomo e gli animali.
Il corso, fruibile gratuitamente tramite EduOpen, consiste di 18 lezioni della durata di circa 10-12 minuti e illustra come gli insetti possono essere allevati e utilizzati a scopo alimentare alla luce delle attuali normative europee. Il corso illustra i vantaggi ambientali e nutrizionali del ricorrere ad insetti, la diffusione di prodotti dati (o derivati) da insetti e i principi da seguire in termini d sicurezza e normativa per produrre alimenti con/da insetti. Oltre ai video, il corso permette l’accesso a una ampia serie di materiali supplementari, tra cui file power point, pdf di libri e altri testi.
“Ma perché dovremmo mangiare insetti” sono certo che ora molti di voi si chiederanno, la risposta riguarda la sostenibilità delle produzioni alimentari e una delle lezioni più interessanti è specificatamente dedicata all’accettazione degli insetti come fonte alimentare.
Un aspetto interessante è che in diverse aree del mondo gli insetti sono usati come alimento per l’alimentazione umana in modo rilevante da moltissimo tempo (oltre 5000 anni), ma ora l’occidentalizzazione dell’alimentazione fa sì che gli insetti tendano ad essere abbandonati come alimento a favore di specie animali per noi italiani più usuali con ingenti danni ambientali. In parallelo, in Europa e America un crescente numero di ricercatori e supermercati propone gli insetti come fonte alimentare (in particolare di proteine) a minor impatto ambientale rispetto, ad esempio, alla carne di manzo e maiale. “Vuoi una carne senza ormoni e antibiotici? Mangia questi insetti” racconta il catalogo di alcune aziende che commercializzando insetti ad uso alimentare in diverse nazioni del mondo.
Il ricorso agli insetti per produrre molecole di interesse alimentare umano non è una novità, basta pensare al colorante commercialmente noto come E120 che si ottiene da una famiglia di insetti della stessa sottoclasse delle coccinelle, in particolare dalle femmine di due tipi di cocciniglie americane delle specie Dactylopius coccus e Kermes vermilio. L’estratto di cocciniglia è stato usato come colorante da secoli, sia per i vestiti, sia per i cosmetici e per cibi e bevande. Per esempio, il liquore alchèrmes (dall’arabo القرمز, al-qirmiz, che significa cocciniglia e che indica il color cremisi, termine che deriva dalla stessa parola) è un liquore italiano usato per dolci e preparazioni di vario genere, soprattutto per le creme di pasticceria. Tra i suoi ingredienti, oltre ad alcol, zucchero, acqua, cannella, chiodi di garofano, cardamomo, acqua di rose, c’è il colorante rosso, che in origine era appunto ottenuto dalla cocciniglia. Se vi state recando al bar per un aperitivo sappiate che anche il vostro amato Campari lo hanno contenuto per decenni. Oggi invece al suo posto troviamo coloranti azoici di sintesi chimica, come l’E122 (azorubina) e l’E124, (chiamato anche Cocciniglia A, cioè artificiale, o Ponceau 4R).
L’aspetto interessante attuale è che gli insetti allevati per l’alimentazione umana o animale possano essere alimentati non ricorrendo a materie prime (ad esempio piante come soia e mais) che di per sé possono essere usate direttamente come alimento, ma facendo in modo che gli insetti si cibino di materiali considerati come scarti di una filiera. Questo aspetto è particolarmente interessante non solo in una ottica di economia circolare ma anche al fine di aumentare la produzione di proteine, di cui l’Europa è non auto-sufficiente, senza aumentare la pressione sull’ambiente.
Ad oggi in diverse nazioni europee iniziano ad essere presenti (anche al supermercato) prodotti per alimentazione umana che contengono insetti. In Italia mancano ancora adeguate normative per quanto concerne l’alimentazione umana, mentre si trovano interessanti progetti per la produzione di mangimi animali che contengano farine derivate da insetti. Tra gli esempi troviamo Sushin, un progetto che prevede la produzione di farine per alimentare trote e branzini, ottenute da insetti, crostacei, micro-alghe e sottoprodotti della macellazione degli avicoli.
Un gruppo di ricercatori coordinato da Charles J. Godfray ha pubblicato recentemente un articolo dal titolo “Meat consumption, health, and the environment” sulla rivista scientifica Science, che analizza nel dettaglio l’impatto che il consumo di carne ha sul nostro pianeta. La produzione di carne ha una impronta molto rilevante da un punto di vista ambientale perché comporta una elevata emissione di gas serra, il ricorso ad ampie superfici occupate da campi per la produzione di mangimi e/o pascolo e acqua in grande quantità (in particolare per la coltivazione delle piante usate per produrre mangimi). L’impatto diventa particolarmente rilevante per la produzione di carne di manzo che ha di gran lunga il peggior rapporto tra apporto nutrizionale e impatto ambientale in quanto richiede quasi 30 volte più terra, 10 volte più acqua di irrigazione e 6 volte più concime azotato di quanto necessario per la produzione di un quantitativo caloricamente equivalente (della media) degli altri quattro alimenti di origine animale. Inoltre comporta 5 volte più emissioni di gas serra rispetto alle altre produzioni zooteniche.
Per avere un’idea più concreta del peso sull’ambiente degli alimenti di origine animale basti dire che la loro produzione richiede l’uso di 3,7 milioni di chilometri quadrati di terreno (il 40 per cento della superficie degli Stati Uniti, o 12.000 metri quadrati circa a persona), buona parte dei quali destinati alla produzione dei mangimi, che richiede a sua volta il 27 per cento di tutte le acque irrigue della nazione e circa sei milioni di fertilizzanti azotati all’anno (la metà del consumo totale nazionale), con una produzione di gas serra pari al 20 per cento di quelle del settore dei trasporti e al cinque per cento delle emissioni totali degli Stati Uniti. Gidon Eshel (Harvard University)
Produrre alimenti con insetti risulta avere un impatto enormemente inferiore sia per le emissioni che per la superficie richiesta in spazio per l’allevamento e le risorse per l’allevamento con un impatto che può essere ulteriormente ridotto se gli insetti sono allevati ricorrendo ad alimenti che sono in realtà “scarti” di altre filiere.
Perché quindi a cena non pensare ad una pizza con rucola e larve di lepidottero al posto dei gamberetti oppure a una pasta al ragù di grilli in sostituzione del maiale/manzo? Gli insetti possono avere lo stesso valore nutrizionale della carne che comunemente mangiamo, ma con un impatto ambientale di produzione decisamente inferiore.
(Mauro Mandrioli)
Da leggere:
- Godfray et al. (2108) Meat consumption, health, and the environment. Science 61, pii: eaam5324.
- Vantomme et al. (2013) Edible insects: future prospects for food and feed security. Food and agriculture organization of the united nations (FAO).