Nei giorni scorsi ho guardato “Sustainable“, film del regista Matt Wechsler, che affronta il problema dell’agricoltura convenzionale negli Stati Uniti e delle conseguenze ambientali della produzione alimentare in termini di inquinamento delle acque da fertilizzanti e pesticidi. Il film, di cui potete vedere qui sotto il trailer, è passato per ora quasi inosservato in Italia.
Il messaggio principale del film è indubbiamente condivisibile: “il modo in cui produciamo il cibo e come lo mangiamo ha conseguenze quasi su tutto”, così come è vero che, sebbene oggi si parli in molte occasioni di cibo e le trasmissioni (e le riviste) che parlano di ricette siano tre le più seguite, nella nostra società si è perso il contatto con chi produce il cibo, con i luoghi e le stagioni in cui quel cibo è stato prodotto.
Il film evidenzia che negli USA (e in realtà lo stesso accade anche in Europa) in cui si assiste ad una distanza sempre maggiore la cucina “popolare” sempre più anonima e di derivazione industriale (piatti pronti, monopasti e pasti rapidi o fast food) e un’alta gastronomia d’élite che trova spazio sulle pagine patinate delle riviste e sugli schermi televisivi. Come sottolinea Giovanni Ballardini le filiere agrifood sono divenute in modo sempre più ricorrente il campo di falsificazioni che non riguardano soltanto gli alimenti, ma l’essenza stessa della cucina nei suoi significati e valori culturali, favorendo diffuse imitazioni e falsificazioni anche di ricette e menù.
“Viviamo in un cambiamento di era, la cucina di ieri non c’é più e a tavola vi sono analfabeti funzionali che, pur facendo cucina anche con tecniche appropriate e apprezzando i buoni sapori, sono estranei ai significati e ai valori culturali del cibo.” Giovanni Ballarini,
Riprendendo una frase dello chef Rick Bayless è un po’ come se, giocando con la parola agricoltura (senza seguire strettamente la sua reale etimologia), oggi avessimo dimenticato che il termine stesso è fatto da una parte agri- e una parte di -cultura.
A fronte di una parte iniziale interessante che ribadisce l’idea di cercare di colmare questo distacco tra consumatori e produttori, il film purtroppo riprende molti luoghi comuni della discussione sulle filiere agroalimentare in cui convenzionale diviene sinonimo di chimico, mentre il biologico è il trionfo della biologia/vita. A questo poi si aggiungono elementi non veri come, ad esempio, che l’agricoltura biologica ha la stessa resa di quella convenzionale.
“Le rese per ettaro dell’agricoltura biologica sono solitamente più basse di quelle dell’agricoltura convenzionale, ma dipendono molto dal tipo di coltura e dalle condizioni ambientali. Se per i legumi le rese sono solo il 5% inferiori, per alcuni cereali si arriva anche al 34% in meno. Globalmente le produzioni biologiche producono il 25% in meno”. Dario Bressanini
Chi pratica l’agricoltura biologica sicuramente non fa uso di fertilizzanti o di altre molecole di origine sintetica, ma ha comunque un impatto ambientale. Ad esempio, nei formulati insetticidi a base di spinosad e azaridactina si legge “Altamente tossici per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”. La poltiglia bordolese è “nociva se inalata, provoca gravi lesioni oculari, molto tossica per lunga durata per gli organismi acquatici”.
Non è inoltre vero che il biologico combatte i cambiamenti climatici. Come recentemente ribadito da Luigi Mariani, docente di Storia dell’Agricoltura dell’Università degli Studi di Milano, “se si fosse tradotto in legge il sogno di tutti i seguaci del bio e cioè quello di fermare le tecnologie in agricoltura a quelle in uso negli anni ‘60, per soddisfare l’aumento di domanda indotto dal passaggio dai 3 miliardi di abitanti del pianeta del 1960 agli oltre 7 miliardi odierni gli arativi sarebbero dovuti passare dagli 1,5 miliardi di ettari attuali a 3,2 miliardi di ettari e le emissioni annue del settore agricolo sarebbero salite dagli 1,4 miliardi di tonnellate di carbonio attuali a ben 6 miliardi, secondo stime effettuate da Burney et al. (2010)”.
Indubbiamente l’indicazione “prodotto biologico” ha una crescente attrattività per il consumatore occidentale, come sottolineato in una recente analisi di Jeff Fromm sulla rivista Forbes, tuttavia la sostenibilità ambientale è molto spesso l’aspetto meno influente in queste scelte. Ad alcuni piace l’idea di consumare cibo prodotto da agricoltori locali in piccole aziende, ad altri di sapere che il cibo mangiato ha richiesto meno chimica, alcuni infine li trovano semplicemente più freschi e buoni.
“Il consumatore è preoccupato per l’ambiente? Ma l’agricoltura convenzionale permette di sfamare più persone utilizzando meno suolo, e tutela la biodiversità e l’ambiente meglio di altri approcci produttivi, quale il biologico. Produrre di meno, come è nel caso del biologico, significa aver bisogno di più terra per sfamare lo stesso numero di persone. E la popolazione mondiale sta aumentando”. (Deborah Piovan, Strade)
Contrariamente a quanto più volte suggerito dal film, non è vero che l’agricoltura convenzionale non produce cibo sano. I dati del Ministero della Salute sui residui di fitofarmaci nei prodotti agricoli italiani, indicano chiaramente che oltre il 96% dei prodotti alimentari analizzati rispettano i limiti di legge per tutte le molecole cercate e il 60% di questi non presenta alcun residuo. Non è neppure vero che le produzioni biologiche danno cibi più nutrienti di quelle convenzionali e diversi studi lo hanno già provato, per esempio questo.
Nel complesso, il film è decisamente deludente non solo perché ripropone numerosi luoghi comuni falsi (senza per altro fare mai riferimento a dati scientifici), ma anche perché continua a riproporre una contrapposizione ideologica “biologico contro convenzionale”, che non rispecchia lo stato attuale degli obiettivi che l’agricoltura si prefigge. L’agricoltura 4.0 mira a produrre più cibo a prezzi accessibili, a garantire il sostentamento per gli agricoltori, oltre che a ridurre i costi ambientali dell’agricoltura non guardando con romanticismo a paradisi alimentari del passato (per altro mai esistiti!), ma prendendo il meglio di tutti i sistemi produttivi oggi disponibili e guardando con interesse a quanto la ricerca può offrire in termini di innovazione.