Negli ultimi anni sempre più prodotti acquistabili nella grande distribuzione presentano in etichetta una grande quantità di dati. A questi si aggiungono i dati raccolti dai singoli “attori” della filiera nelle loro aziende (dati che spesso sono in formato digitale), perché derivanti da sensori o sistemi informatizzati di gestione dei mangimi, del latte munto e così via e che quindi potrebbero essere condivisi con una discreta facilità. Molti di questi dati rimangono però nel computer dell’agricoltore e/o dell’allevatore, dove perdono molte delle loro potenzialità.
Se i vari partecipanti ad una filiera iniziassero a condividere i propri dati, integrandoli ad esempio con quelli già disponibili su piattaforme come quelle di AGEA e MIPAAFT, i dati potrebbero generare valore lungo tutta la filiera.
Per ottenere questo obiettivo si potrebbero costruire piattaforme che si parlino e si scambino dati al fine di offrire al consumatore, come ad altri stakeholder, informazioni utili. Ad oggi sono ad esempio molto interessanti le piattaforme di digital farming (come QdC® – Quaderno di Campagna) e i registri pubblici (come il Sian – Sistema informativo agricolo nazionale), ma anche i gestionali delle aziende di trasformazione fino alle piattaforme utilizzate nella logistica e a quelle sfruttate dalla grande distribuzione per gestire le referenze in scaffale.
Ad esempio integrando i dati si potrebbe offrire un servizio di tracciabilità al consumatore o si potrebbe risalire in maniera veloce e sicura ad un lotto critico sotto il profilo sanitario (si pensi ad esempio a uova associate a casi di salmonellosi). L’analisi dei big data può inoltre essere utile anche per individuare inefficienze lungo la catena del valore, ottimizzare i processi e aumentare i margini di guadagno, a patto che:
- il dato sia raccolto dove nasce, quindi l’agricoltore registrerà i dati relativi alle operazioni in campagna, l’azienda di trasformazione quelli relativi alle sue attività industriali e così via.
- il dato sia registrato una sola volta e archiviato in una sola piattaforma, al fine di evitare sovrapposizioni e distorsioni.
- il dato sia sfruttabile da tutti gli interessati, quindi da tutti gli attori della filiera.
- il dato produca vantaggi per chi lo raccoglie, presupposto perché un soggetto sia interessato a investire tempo e denaro in questa attività.
- il dato sia costantemente aggiornato, perché prendere decisioni su dati vecchi, che quindi non descrivono più la realtà, è fuorviante.
I dati potrebbero infine essere distribuiti ricorrendo a blockchain così da renderli non più modificabili e quindi usati per attestare la qualità delle singole fasi di produzione degli alimenti lungo la filiera.
“La digitalizzazione dei processi e l’analisi dei big data può generare risparmi importanti per le aziende del settore agroalimentare oltre a migliorare la qualità e offrire una tracciabilità a 360 gradi”. Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano e dell’Università di Brescia.