Nel corso degli ultimi anni è divenuta sempre più comune in Italia la descrizione dell’agricoltura convenzionale come una minaccia per l’ambiente rispetto ad una agricoltura tradizionale fatta di mulini bianchi e agricoltori che al caldo del loro lindo mulino dialogano con galline di produzioni sostenibili. Ma quanto incide il modo in cui l’agricoltura è raccontata nella percezione che abbiamo della produzione alimentare?
Per vari motivi in questi giorni mi è capitato di rileggere un articolo, pubblicato un paio di anni or sono, in cui un gruppo di ricerca dell’Università di Milano ha affrontato questo tema andando a vedere come le scelte fatte a livello di comunicazione hanno influenzato e ancora oggi influenzano la percezione degli OGM nei consumatori italiani. I ricercatori italiani Vera Ventura, Dario G. Frisio, Giovanni Ferrazzi ed Elena Siletti, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista scientifica internazionale Public Understanding of Science, hanno analizzato il modo in cui gli OGM sono raccontati mostrando come spesso le scelte grafiche fossero palesemente pensate per indurre un senso di diffidenza verso gli OGM, tanto che il titolo del loro articolo era realmente autoesplicativo: How scary! An analysis of visual communication concerning genetically modified organisms in Italy.
Più della metà delle oltre 500 immagini analizzate era pensata per creare un senso di diffidenza verso gli OGM, anche in testi che per contenuto erano in realtà “neutri” nella descrizione che davano degli OGM. Come infatti riportato dagli autori:
La maggior parte (58%) delle immagini raccolte conteneva almeno un elemento in grado di indurre senso di paura ed erano incluse in pagine web che contenevano prevalentemente un messaggio negativo verso gli OGM (57% dei casi). L’informazione negativa sugli OGM è solo marginalmente bilanciata da siti che promuovo queste tecnologie; solo una piccola frazione dei testi che promuovo gli OGM contiene immagini che ne mostrano i benefici (…): la posizione scettica del consumatore potrebbe derivare dall’assenza di immagini relative ai benefici che potrebbero essere conseguiti. In accordo con i risultati del sondaggio europeo del 2010 <Eurobarometer on biotechnology>, il tema della innaturalità è l’aspetto chiave che emerge dall’analisi delle immagini. (…) In sintesi, il lavoro fatto conferma empiricamente che esiste una precisa tendenza nei media italiani sul tema dell’informazione dedicata agli OGM: le immagini sugli OGM sono caricate di elementi in grado di generare paura, aspetto che potrebbe aver contribuito al modellare la percezione negativa degli OGM in Italia. (tradotta da Ventura et al. 2016)
Perché riprendere oggi questo articolo? Perché in realtà la stessa tipologia di dinamica si sta presentando quando si analizza oggi il rapporto tra agricoltura e biodiversità, per cui l’agricoltura convenzionale è quella che uccide e avvelena, mentre quella biologica (o per i più esoterici, quella biodinamica) è naturale e rispettosa dell’ambiente. Non possiamo dimenticare che fare agricoltura (di qualsiasi tipo!) modifica le specie vegetali presenti e quindi la biodiversità entomologica, fare agricoltura aumenta il disturbo antropico sugli ecosistemi e questo ha un effetto sulle specie presenti, sui loro siti di nidificazione etc…
Come ben scriveva Daniele Oppo sul suo blog ad inizio dello scorso anno, questo tipo di dinamica non serve a nessuno ed in primo luogo non serve agli agricoltori. Riferendosi agli OGM scriveva infatti:
E i primi a cui rivolgersi dovrebbero essere gli agricoltori, ovvero i soggetti che ogni giorno combattono per sopravvivere e far sopravvivere i loro campi, possibilmente nella maniera più produttiva possibile, lavorando la terra, seminando, curando le piante, sperimentando nuovi approcci e varietà e sperando in un raccolto migliore dell’anno passato. Andrebbe insegnato anche a loro a vedersi e raccontarsi in un modo diverso, meno bucolico, più di persone che si spaccano le mani e spendono soldi per produrre quella roba che poi finisce nei nostri piatti, con le caratteristiche di simil perfezione che oggi noi consumatori chiediamo. Perché se oggi dominano le ‘campagne amiche’, è perché domina l’idea di un’agricoltura spicciola, familiare, da mercatino rionale. Bella, romantica ma che non è quella che fa girare il mondo dell’agroalimentare. Se davvero vogliamo seriamente riaprire le porte del dibattito sugli Ogm con l’obiettivo di farli finalmente entrare, i primi da prendere in consegna con una comunicazione mirata, con la formazione e l’informazione sono gli agricoltori stessi. Sono loro che devono tastare con mano che, in fondo, gli Ogm non rappresentano il male, non sono una sconfitta, una minaccia, ma una possibile soluzione ad alcuni problemi e come tale da prendere in considerazione in maniera laica, soppesando la loro utilità nello stesso modo in cui si soppesano altre colture migliorate per altre vie più “tradizionali”. Sono loro che devono arrivare a dire “vogliamo la possibilità di usare i frutti di questa tecnologia a nostro vantaggio e a vantaggio di tutti”. Se questo passaggio non viene fatto con gli agricoltori per primi, se non sono convinti loro per primi, nessuna politica rivedrà mai le proprie posizioni, perché mancherà la spinta verso l’auspicato cambiamento e questo la sappiamo perché oggi subiamo gli effetti della costante spinta contraria.
Lo stesso vale oggi per il rapporto tra agricoltura e biodiversità: voler contrastare la visione dell’agricoltura che avvelena l’ambiente con una narrazione (altrettanto artefatta) in cui l’agricoltura non ha alcun effetto serve solamente a ricreare anche su questo tema una contrapposizione che ben si adatta ad uno stadio, ma che dovrebbe essere assente quando si parla di dati.
Chiediamo di avere una corretta valutazione del peso che l’agricoltura ha nei diversi contesti e sui diversi habitat vicini, accettando però che l’agricoltura ha sicuramente un effetto sulla biodiversità e che questo è il prezzo che dobbiamo inevitabilmente pagare.