Nei giorni scorsi ho letto, con soddisfazione decisamente calante (ma su questo tornerò nei prossimi giorni), il libro bestseller “Possiamo salvare il mondo prima di cena” del giornalista americano Jonathan Safran Foer.
Il libro vuole rappresentare uno stimolo per il lettore a cambiare stile di vita, a modificare in particolare le proprie abitudini alimentari, perché anche un problema complesso come quello dei cambiamenti climatici può essere affrontato efficacemente con soluzioni semplici
“Qualche volta <scrive Safran Foer>, anche i problemi più ampi e complessi possono essere risolti con una semplice correzione, un controbilanciamento. Non serve reinventare il cibo, ma disinventarlo. Il futuro dell’allevamento e dell’alimentazione deve assomigliare al passato” (pag. 147).
Caspita che enorme banalità! Mi propini 300 pagine che vogliono essere un messaggio di vita, ma che alla fine consiste nello sguardo nostalgico a un passato alimentare bucolico mai esistito? Non c’è da nutrire alcuna nostalgia per un passato che è in realtà fatto di grandi sofferenze e di indicibile miseria per vasti strati di popolazione.
L’agricoltura non si difende mantenendo lo status quo, non la si difende con la nostalgia della tradizione e neppure con una pacca sulla spalla dell’agricoltore per convincerlo che lui è un nobile difensore della natura e non un imprenditore attaccato al denaro. L’agricoltura si onora e si affronta accettando le sfide del contesto tecnologico e globale in cui viviamo, reinventando il nostro cibo per avere produzioni alimentati più sostenibili.
Tanti anni fa raccontai a mia nonna Venerina (in realtà per l’anagrafe Severina) che il sapore che meglio ricordavo della mia infanzia era quello di una buonissima focaccia con la panna che lei mi comprava come merenda le mattine che passavo con lei. Siccome sentivo sempre parlare di quanto era buono il cibo del passato chiesi a mia nonna quale fosse il sapore che più ricordava della sua giovinezza e lei, senza alcuna esitazione mi rispose: la fame!
Il passato dell’allevamento e dell’alimentazione non è stato affatto meraviglioso, per molti aspetti i contadini di inizio Novecento vivevano ancora come i contadini medievali. Certo, l’agricoltura deve divenire più sostenibile, deve fare proprie alcune innovazioni, ma guardare al passato è esattamente ciò che non dobbiamo fare. Viviamo in una epoca di cambiamenti climatici, di sfide legate globalizzazione, che non è sola lotta sui mercati (tra cereali canadesi e passata di pomodoro cinese), ma anche occasione per la diffusione di patogeni e parassiti.
Come ben scrive Antonio Pascale nel libro Pane e pace, questo è un esempio di sapore nostalgico che ci porta a pensare che tutto quello che è accaduto nel passato ha un grande valore, mentre tutto ciò che è biotecnologico è pericoloso. “Preferisci <scrive Pascale” essere curato da un dentista degli anni ’40 con quegli strumenti e con quell’anestesia oppure da uno moderno? Chi risponderebbe <Meglio i rimedi tradizionali del vecchio dentista>?” In modo analogo, solo ricorrendo all’innovazione possiamo pensare di garantire una adeguata produzione alimentare in una fase di profondi cambiamenti climatici e di crescita esplosiva della popolazione umana. La soluzione non è guardare al passato, ma alle innovazioni che già possiamo mettere in campo.
Per chi non avesse letto Pane e pace, ecco un ottimo TEDx in cui Pascale affronta lo stesso tema.
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