Dal 1950 l’Organizzazione delle Nazioni Unite raccoglie i dati relativi alla crescita della popolazione umana e i risultati 2018 confermano le stime secondo cui potremmo raggiungere gli undici miliari di persone sul pianeta Terra entro il 2070.
Contrariamente alle stime fatte negli anni scorsi, gli undici miliardi potrebbero essere in realtà una soglia massima destinata a non aumentare ulteriormente, tanto che la popolazione umana potrebbe iniziare a diminuire nei decenni successivi. Secondo alcuni studi forse questa soglia non sarà neppure raggiunta perché, se è vero che in molte nazioni africane il tasso di crescita è decisamente impressionante (con la Nigeria con un tasso di fecondità pari a 7,2 figli per donna!), il mondo industrializzato ha invece fortemente rallentato la propria crescita ed è in corso una vera e propria decrescita. Per mantenere stabile il numero degli abitanti di un paese serve una media di 2.1 figli a donna. L’Italia è a 1.3, mentre va peggio a Spagna e Portogallo dove tale valore scende a 1,2 e ancora peggiore è il dato della Corea del Sud, dove si registra una media di 0.98 figli per donna. Considerato che il trend appare in calo in tutte le nazioni che raggiungono buoni standard nelle condizioni di vita e nei livelli di istruzione, secondo alcuni esperti di demografia è probabile che non si arrivi mai alla soglia degli undici miliardi di persone, ma che il numero arrivi ad un massimo di 9 per poi iniziare a calare e tornare al livello attuale entro il 2100.
Potrà sembrarvi incredibile, ma nel tempo in cui avete letto la parte iniziale di questo post nel mondo sono nati circa 40 bambini (4 bambini al secondo), ma sono morte 20 persone. Nelle nazioni industrializzate, nello stesso tempo ne sono nate 21, ma ne sono morte 24.
Nel ‘700 l’economista Robert Malthus prevedeva carestie e miseria, così come nel 1968 nel best seller The population bomb Paul Erlich stimava che nei decenni successivi sarebbero morte centinaia di milioni di persone per fame. Queste previsioni non solo non si sono realizzate (cliccare sul grafico sottostante per accedere ai dati), ma per assurdo negli ultimi anni sono divenuti quasi più numerosi i morti per obesità e altre patologie legate ad un eccesso di alimentazione che non alla fame.
Quanto accaduto non ha nulla di misterioso, ma è legato alla rivoluzione verde e al fatto che erbicidi, insetticidi, concimi migliori e macchine più efficienti hanno permesso un aumento tale della produzione alimentare che quanto prodotto ora sarebbe già sufficiente per nutrire undici miliardi di persone.
La fortissima asimmetria tra nazioni molto produttive e nazioni con elevati tassi di crescita non è risolvibile con una “semplice” ridistribuzione delle risorse (operazione che risulta semplice da formulare, ma non certo da realizzare), per cui la via principale per fronteggiare la sfida demografica africana deve quindi passare dall’agricoltura. Come sottolinea infatti un articolo del giornalista Howard French (pubblicato in italiano su L’Internazionale 1337), “l’agricoltura, e non l’industria, è fondamentale per fornire posti di lavoro alle centinaia di milioni di africani che verranno. In molti stati africani, più del 50% della forza lavoro è impiegata nel settore agricolo; in stati come il Burundi e il Burkina Faso, addirittura più dell’80%. Eppure secondo il Forum Economico Mondiale, l’Africa è il continente con l’agricoltura meno produttiva e allo stesso tempo la più alta percentuale di terra fertile non sfruttata”.
L’obiettivo primario che l’agricoltura africana deve raggiungere è legato all’aumento della produttività. Il futuro dell’agricoltura in Africa dipende dalla capacità di creare le condizioni per una rivoluzione verde sostenibile che tenga insieme i mutamenti climatici, i bisogni sociali e il ruolo dei piccoli produttori, l’uso di tecnologie sostenibili in partenariato con le istituzioni scientifiche locali. La scommessa è quindi legata alla modernizzazione dell’agricoltura perché un settore agricolo solido può trainare la crescita della società e favorire anche un migliore accesso all’istruzione.
Le nazioni industrializzate dovrebbe farsi parte attiva di questo transizione in Africa perchè “dato che un’emigrazione di gran lunga più ampia di quella attuale è inevitabile, l’istruzione contribuirà a migliorare le competenze delle persone che lasceranno il continente, mettendole nelle condizioni di dare un contributo ovunque andranno. (…) Se l’Europa non riuscirà a coinvolgere l’Africa per favorire un cambiamento prima che la spinta demografica diventi travolgente, potrà solo incolpare se stessa”.