Un interessante articolo dal titolo “The global cropland-sparing potential of high-yield farming“, pubblicato dalla rivista Nature Sustainability, ha evidenziato che se adottassimo le tecnologie più produttive per la coltivazione potremmo diminuire la superficie coltivata del 50%. In altri termini si intensifica l’impatto e la produttività da una parte e dall’altra si restituisce una ampia superficie di suolo alla rigenerazione di biodiversità oppure alla crescita di città e infrastrutture.
Questa pubblicazione si inserisce nel dibattito tra le strategie di land sharing e land sparing, in cui nel land sharing l’agricoltore “condivide” la terra con la natura e l’ecosistema cercando quindi un compromesso tra produttività e biodiversità, mentre nel land sparing agricoltura e biodiversità usano spazi diversi. In quest’ultimo caso, quindi, si punta alla massima resa in aree ben determinate di territorio, mentre le restanti aree sono dedicate alla conservazione della biodiversità, senza introdurre alcuna pratica agricola.
L’articolo di Nature Sustainability si inserisce in questa discussione mostrando come il land sparing sia più promettente rispetto al land sparing se si vogliono minimizzare gli impatti della produzione alimentare attuale, pur mantenendo i livelli previsti per garantire la sicurezza alimentare.
I risultati del nostro studio possono aiutare i politici e più in generale il pubblico a verificare la reale produttività delle aree coltivate. E’ stato inoltre mostrato che l’aumento delle aree coltivate non è inevitabile e che c’è un potenziale significativo per migliorare l’efficienza nell’uso delle aree coltivate. Michael Obersteiner, IIASA Ecosystems Services and Management Program Director
Io ho alcune personali perplessità legate al fatto che le aree dedicate alla produzione intensiva andrebbero identificate tenendo conto anche della loro distribuzione geografica. Il land sparing infatti rischia di creare vere e proprie “isole” dedicate alla biodiversità comprese tra aree intensamente coltivate. Se questo accade purtroppo si hanno numerosi effetti negativi sui flussi genici tra le popolazioni ospitate in aree distinte con effetti decisamente poco favorevoli sulla variabilità genetica.
Fatta salva questa necessità aggiuntiva da considerare, è quindi interessante osservare che adottando le soluzioni più produttive (inclusi gli OGM) potremo ridurre le aree coltivate lasciando spazio alla biodiversità. Al contrario, tutte le soluzioni a bassa produttività porteranno necessariamente ad effetti opposti e certamente decisamente meno positivi.
Servirà ovviamente fare attente valutazioni sugli impatti che le aree coltivate in modo iper-intensivo avranno, ad esempio, in termini di inquinamento ambientale, ma solo in questo modo avremo la certezza di avere a disposizione una sufficiente quantità di spazio per produrre ciò che serve e tutelare la biodiversità in un futuro in cui le città e le infrastrutture andranno ad occupare sempre più suolo.
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