I cambiamenti climatici tra azioni individuali e politiche

Il numero 1372 (del 21-27 agosto 2020) della rivista Internazionale presenta un interessante articolo dal titolo “Il mito del consumatore verde”, in cui il giornalista e scrittore olandese Jaap Tielbeke affronta il problema del rapporto tra contributo individuale e politico per contenere gli effetti dei cambiamenti climatici.

“Di fronte alle notizie deprimenti sul triste stato del clima <scrive Tielbeke>, le persone hanno bisogno di sapere di potere fare qualche cosa. L’azione è un potente antidoto all’avvilimento che può sopraffarci di fronte a un problema più grande di noi”. Peccato che sia decisamente poco utile perchè “finché ci concentreremo sui comportamenti individuali, non ci avvicineremo a una soluzione. Per un cambiamento strutturale serve l’intervento politico. Perché se da un lato alcuni cittadini si vergognano della propria impronta ecologica, dall’altro le aziende inquinanti tengono consapevolmente in piedi un sistema distruttivo”.

Nei mesi scorsi avevo trovato interessante la proposta del giornalista Safran Foer che nel suo libro bestseller “Possiamo salvare il mondo prima di cena” invitava il lettore a cambiare stile di vita, a modificare in particolare le proprie abitudini alimentari, perché anche un problema complesso come quello dei cambiamenti climatici può essere affrontato efficacemente con soluzioni semplici (ne avevo scritto qui). Per Safran Foer, quindi, il nemico che dobbiamo combattere per vincere la sfida dei cambiamenti climatici possiamo vederlo allo specchio ogni giorno… perché siamo noi.

E’ vero, alcune scelte individuali possono avere un effetto significativo, ma Tielbeke è decisamente più pessimista perché questo non sposta l’impatto delle grandi aziende che inquinano il pianeta e che le nostre singole azioni non potranno mai bilanciare. La Exxon, ad esempio, ha finanziato una ampia campagna in cui invita i cittadini a fare scelte più sostenibili, ma in parallelo è accusata dalla procura dello stato di New York di aver ingannato gli azionisti. Come riportato dal Sole 24 Ore, la Exxon ha tenuto volutamente (e di nascosto), libri contabili paralleli sui costi per l’azienda delle future misure di lotta cambiamento climatico, usando poi stime che li sottovalutavano quando considerava scelte di investimento e gonfiando di conseguenza prospettive e valutazioni del gruppo.

Possiamo rinunciare (e sicuramente farà anche bene alla nostra salute) ad alcuni pasti a base di carne ogni settimana, ma un terzo dell’inquinamento atmosferico mondiale è causato da sole 20 grandi aziende attive nello sfruttamento delle riserve mondiali di petrolio, gas e carbone, come suggerito da una recente analisi pubblicata dal Guardian e realizzata dal Climate Accountability Institute negli Stati Uniti.

Come riportato da EuropaToday: “Dodici di queste aziende sono di proprietà statale e insieme le loro estrazioni sono responsabili del 20% delle emissioni totali. Il principale inquinatore statale è l’Arabia Saudita, che ha prodotto da solo il 4,38% del totale globale, mentre al secondo posto tra le imprese pubbliche si posiziona la russa Gazprom. Tra le società private ci sono invece aziende come la Chevron, in seconda posizione dopo la saudita Aramco e in cima alla lista delle otto società di proprietà di investitori, seguita da vicino da Exxon, BP e Shell (quarta, sesta e settima in classifica). Insieme, queste quattro aziende globali sono responsabili di oltre il 10% delle emissioni di carbonio del mondo dal 1965.”

Tielbeke non sostiene che le scelte individuali non servano a nulla, ma che le nostre scelte non avranno mai effetti significativi “nel contrastare l’abbattimento delle foreste primigenie, nel rallentare il traffico aereo o nel ridurre le emissioni di anidride carbonica”. Queste scelte possono essere utili solo se sono affiancate da azioni che obblighino i politici a prendere atto della volontà dei cittadini. Riprendendo il titolo dell’ultimo libro di Tielbeke: “un ambiente migliore non inizia con te”.

Serve infine considerare che il problema dei cambiamenti climatici non è di esclusiva pertinenza scientifica. Per molti anni ho pensato, sbagliandomi, che la scarsa attenzione al tema dei cambiamenti climatici derivasse dal fallimento di biologi e naturalisti nel portare all’attenzione dei politici l’importanza della tutela del pianeta. Ho trovato a questo riguardo molto interessante la posizione di Telmo Pievani che, nel suo libro “La terra dopo di noi”, suggerisce che non si può prescindere dall’agire simultaneamente a livello individuale e politico andando però a combinare scienza ed umanesimo.

L’attuale situazione di scarsa attenzione è frutto infatti anche di un fallimento delle scienze umane perché, come scrive Pievani “non c’è difesa della natura efficace senza una profonda consapevolezza umanistica; non c’è difesa possibile del futuro umano senza una profonda consapevolezza ecologista”.

Sul tema delle azioni da intraprendere è infine molto interessante il lavoro svolto da Paul Hawken, padre del capitalismo naturale, che ha compilato insieme a un team di 70 scienziati ed economisti un elenco delle soluzioni più efficaci per combattere l’effetto serra. Da questo studio è nato il libro Drawdown (pubblicato lo scorso anno) e il sito di Project Drawdown.

L’aspetto interessante di questa analisi è che l’educazione delle bambine è in cima alla lista delle azioni contro i cambiamenti climatici, perché facendola avanzare da qui al 2050 avremmo 1,1 miliardi di persone in meno rispetto al trend attuale, con conseguenze positive in termini di minori consumi di risorse. Potrà sembrare una soluzione semplice da attuare, ma serve ricordare che nei Paesi in via di sviluppo una donna su dieci non è mai andata a scuola in tutta la sua vita.

Purtroppo per Safran Foer, l’eliminazione degli sprechi alimentari e la diffusione di una dieta ricca di proteine vegetali invece che animali (ma non completamente vegetariana) sono invece al terzo e quarto posto della graduatoria. Al secondo posto troviamo invece lo sviluppo dell’eolico di terra.

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